Cultura

Gli italiani? Un popolo di pacifisti “strategici”

"Siamo un popolo razionale. Che si era schierato contro la guerra perché pensava che non risolvesse il problema. Ma se domani...". Intervista a Fabrizio Battistelli.

di Redazione

Che fine ha fatto quel fenomenale slancio pacifista che alla vigilia della seconda guerra del Golfo portò 3 milioni di persone in piazza a Roma e altri 100 milioni nelle grandi capitali del Nord del mondo? Quali strascichi ha lasciato nei cuori degli italiani? E nelle loro prossime scelte di voto? Interrogativi cruciali alla vigilia dell?appuntamento del 20 marzo e della doppia tornata elettorale, amministrativa e politica, di giugno, che giriamo a Fabrizio Battistelli, ordinario di Sociologia all?università La Sapienza di Roma e segretario generale di Archivio Disarmo, istituto indipendente di ricerche sulle politiche della difesa. Il professore, fra l?altro, appena dato alle stampe Gli italiani e la guerra, opinione pubblica, sicurezza, spirito militare (Carocci editore), in libreria da marzo. Vita: Professore cos?ha scoperto? Fabrizio Battistelli: Che gli italiani sono ancora oggi un popolo di pacifisti. Ma non perché gli tremino le gambe di fronte alle armi, ma perché hanno capito che la guerra difficilmente risolve i problemi. Se infatti fossimo oggetto di un attacco, oltre i due terzi dei nostri concittadini risponderebbe al fuoco. Siamo pacifisti strategici e razionali. Vita: Tutti quanti? Battistelli: I sondaggi di Selecta e Swg che supportano il mio lavoro rivelano che il dissenso all?intervento in Iraq è bipartisan: fra il 70 e il 90% fra gli elettori di centrosinistra e fra il 55 e il 60% fra quelli del centrodestra. L?unico partito che ha una lieve maggioranza di favorevoli alla guerra è An. Vita: Però di bandiere della pace se ne vedono sempre meno… Battistelli: E non poteva essere altrimenti. I movimenti sono forme di partecipazione ?single issue?, su temi specifici. L?opposizione alla minaccia di una guerra preventiva fu il mastice di un entusiasmo mai visto. Non dimentichiamo che nel 99, circa la metà degli italiani sostenne l?intervento in Kosovo e anche il conflitto in Afghanistan del 2001 fu vissuto come legittima risposta al terrorismo. Un calo di tensione è quindi fisiologico e atteso. Vita: Quanto può incidere il tema del pacifismo nel dibattito politico attuale in vista delle elezioni di giugno? Battistelli: Il politico per suo interesse può anche decidere di andare contro i sondaggi. Come ha fatto Berlusconi, che però ha impresso il profilo più basso possibile alla partecipazione alla guerra. Per 50 giorni a cavallo dello scoppio del conflitto non è apparso in pubblico. Vita: Quindi si attende una débacle elettorale di Forza Italia? Battistelli: Se avverrà non sarà certo sulla questione della guerra. Il conflitto è troppo lontano nel tempo per incidere e poi l?elettorato italiano è più tollerante rispetto all’opportunismo. Qui si tende a perdonare con più facilità che nel mondo anglosassone. In ogni caso l?opinione pubblica domestica adesso è favorevole al prolungamento della missione in Iraq. Andarsene vorrebbe dire lasciare gli iracheni nelle pesti. E poi, nell?immaginario collettivo ha preso piede la convinzione che il pacifismo toglie ossigeno alla sicurezza e viceversa. Vita: è cambiato il vento anche nel giudizio sugli americani? Battistelli: Rimaniamo contrari al loro unilateralismo, ma la simpatia verso gli Usa non è mai stata scalfita. Vita: Cosa pensano gli italiani dei militari impiegati in peacekeeping? Battistelli: In quest?anno, l?opinione degli italiani per le loro forze armate è molto migliorata. Finalmente vediamo un tir che corre in autostrada dopo anni di parcheggio in garage. Abbiamo la sensazione che l?esercito serva a qualcosa. Il massimo, però, sarebbe che operasse sotto il cappello dell?Onu.


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